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La scrissi una notte con la stilografica sopra un block notes, abbastanza di getto, dico abbastanza perché, per concluderla, tirai diritto fin quasi alle prime luci dell'alba, ed essenzialmente scrivevo di come anche chi dovrebbe prendersi cura di noi abbia a volte idee preconcetti e che consideri solo un lavoro quello che dovrebbe essere per prima cosa una missione. Lo proposi a E., incontrato per caso un giorno al Ser.T.: “Ho scritto una cosa abbastanza forte, potrebbe andar bene per l'Urlo... vorrei che mi dessi un parere” e gli porsi il notes. Lui, dopo averlo letto non senza difficoltà a causa della mia calligrafia mi disse: ”Si, molto bello, naturalmente dovrai chiedere il consenso per la pubblicazione alla tua compagna, visto che siete tu e lei i protagonisti. Poi ti chiederei una cortesia: potresti riscriverlo su di un foglio in stampatello?” Fu così che (chi l'avrebbe mai pensato?) la mia storia finì sull'Urlo, io realizzai un sogno (io che scrivo per l'Urlo? Ma che c@&%o vai dicendo!?) e da allora ho potuto riversare i miei pensieri e le mie riflessioni su quel foglio, cercando e credendo che le mie parole potessero essere utili e possibilmente di conforto a chi le leggeva. E ora, anche se ho capito che per un vero cambiamento oltre al pensiero e alla parola scritta, deve seguire un azione, un fatto che possa aiutare a perseguire quel pensiero e quella parola, ho comunque cominciato a considerare il vero tesoro di quest'esperienza: il rapporto con gli altri redattori, e so che parecchi di loro la pensano come me. Con alcuni la conoscenza si è approfondita, diventando amicizia, ed è questo il sentimento che ci accompagna nelle lunghe notti di redazioni infinite, a scaldarci e dibattere delle nostre idee.
Padre Felice
fine
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