sabato 22 agosto 2015

GRAMMATICA DELLE EMOZIONI

Tre mesi fa Danco ci ha lasciati e ancora facciamo fatica a crederci. Danco è stato per la redazione de l'urlo una figura importante, così vorremmo ricordarci ogni tanto di quanto fosse in gamba a scrivere e quanto interessanti fossero le sue riflessioni.
Questo articolo è del 2004, e si intitola Grammatica delle emozioni.
Buona lettura. 
 
LA REDAZIONE DE L'URLO

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Vorrei parlare di un periodo particolare, in cui ho fatto un po' di "conti". E' da un po' di tempo che sto facendo volontariato e mi stanno tornando indietro delle cose.
Ho iniziato un po' per caso, senza aspettarmi molto, per motivi un po' egoistici: vado in mezzo a persone che stanno peggio di me, chissà mai che anche io stia meglio, mi renda conto delle mie cose.
Certe cose però, dopo un po', vanno prese seriamente: ho avuto delle responsabilità. Se tu insomma predichi bene ma razzoli male... non puoi, devi riflettere su come ti comporti davanti agli altri. Succede che vai in uscita e ti ritrovi a far rispettare delle regole, non sei più quello che le trasgredisce! E' un po' cosi, uno inizia per gioco e poi ti ritrovi a fare le cose seriamente. Forse la dico grossa ma il ritorno è che comincio a ritenermi un po' diverso, a riscontrare delle cose diverse. Sono cambiato internamente, è un discorso un po' complesso e tutte le volte che lo faccio ruba qualcosa di mio. Ci sono delle situazioni nelle quali prima mi trovavo a disagio, non riuscivo a coordinare i movimenti, c'era un tentativo di fuga: sono le emozioni. Da un po' non ero abituato a viverle. Ho fatto una ventina di anni di tossicodipendenza da eroina. Le situazioni forti le vivevo in modo distaccato, come se mi scivolassero addosso: non mi apparte­nevano. Ora cominciano a tornarmi addosso, e la sensazione forte è che questo è piacevole, ti fa venire voglia di viverle, il piacere della vita. Nel contatto con le persone, nell'intimità di qualche situazione. Quando sei davanti ad una persona che è ancora dentro ad un certo tipo di vita, anche se paria con te, hai sempre l'impressione di non riuscire a raggiungerla. I cambiamenti li riconosco quando sono di fronte a certe situazioni e mi rivedo in chi ho davanti, è come se vedessi me a! posto loro, vedo come io ero assente. Non sto parlando dei tossicodipendenti in generale ma sto parlando di me. E' come se avessi di fronte uno specchio, non penso che l'altro è uguale a me ma mi da l'occasione di riflettere su di me, su tutte le volte che parlavo... in realtà con la testa ero altrove. E non penso che le persone che ho di fronte non siano autentiche o che vorrei che fossero diverse da come sono in quel momento, mi va benissimo essere in relazione con loro in quel momento così come sono. Mentre sono lì nella situazione mi accorgo che non ho più paura, e accorgermene mi fa avere ancora meno paura, la differenza è che ora io inizio a pensare agli altri, prima era più difficile. Voglio dire che della mia dipendenza non ho memoria limpida al 100%. Tuttavia continuo a scoprire cose del mio passato, sto parlando solo della mia vita e non delle storie degli altri. Una cosa che capisco è che io ho preso una fregatura per vent'anni, e questo sarebbe già sufficiente per dire tutto. Non rinnego niente perché ero io allora così come sono io oggi, non voglio cancellare una parte di me e del mio vissuto, né sto giudicando la persona ma rifletto su di me, do un giudizio su una parte di me, quando non sapevo cosa volevo, non trovavo mai uno spazio di tranquillità, il mio stato d'animo era sempre quello di voler scappare, non voler esser lì, un'inquietudine non riuscire a presentarmi agli altri con tranquillità. Me ne sono reso conto piano piano, ho preso possesso e ho favorito questo cam­biamento. Fino ad ora io mi sono sempre opposto ai cambia­menti, ora vedo una cosa diversa, sono cambiato. Delle volte rivedersi non fa molto piacere, i ritorni sono molto duri da digerire. Alla fine ho fatto questa scelta del volontariato, anche perché io sono stato in diversi contesti, ma è difficile trovare delle persone con cui condividere delle cose la mia gente è la gente che in qualche modo è entrata in contatto con le sostanze.
Con gli altri non mi sento così vicino.

Danco

sabato 8 agosto 2015

RIDUZIONE DEL DANNO

Di riduzione del danno ne stiamo parlando in redazione in questi ultimi tempi, si tratta di un tema complesso che sembra essere diventato un po', per così dire, demodè... In questi giorni abbiamo dedicato un numero della nostra newsletter (se vuoi iscriverti alla nostra newsletter mandaci una mail con scritto in oggetto "iscrivimi" qui) a questo tema, e ci è arrivata, fra le altre, questa risposta che abbiamo deciso di pubblicare subito perché pone una serie di temi assai rileventi, la leggeremo e ne discuteremo certamente nelle prossime redazioni.
E' come se avessimo
già il primo articolo per il prossimo numero de l'urlo dedicato al riduzione del danno.
Un bell'articolo
e un buon punto di partenza.

E chi ben comincia è a metà dell'opera.
Grazie V.!!!

LA REDAZIONE DE L'URLO
 
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E' vero la percezione della riduzione del danno è molto deviata... No aspetta, sto parlando dal punto di vista di una professionista, quindi "deviata" non è il termine esatto, perchè la maggior parte delle persone comuni nemmeno si interessa del tema. Purtroppo, in questo mondo, le persone non ritengono necessario aiutare le persone che già sono cadute nel "danno"... E come biasimarle... E' già difficile trovare persone interessate ad ascoltare i piccoli problemi quotidiani davanti ad un caffè...
Oltre che da professionista parlo da persona, da ragazza, che ha visto cadere sotto il "danno" dell'eroina una mia cara amica e degli psicofarmaci mia madre, credo quindi di avere una visione non obbiettiva (per fortuna, obbiettiva vuol dire fredda spesso e volentieri), ma bensì di pancia. Sarebbe paradossale imporre una legge per cui tutto il personale statale e comunale rivolto ad occuparsi di tale problema siano persone coinvolte dal vivo in tale problema, ma al momento è l'unica soluzione che mi sovviene... Credo sia più uno sfogo che una riflessione, quindi perdonatemi se non potrà esservi di aiuto al fine di un indagine scientifica, ma non posso fare di meglio ripensando ai momenti in cui sarebbe stato necessario avere almeno un orecchio all'ascolto di chi alla fine ci ha rimesso la vita. Forse la riduzione del danno potrebbe essere ESSERCI nel momento in cui c'è bisogno di essere ascoltati. Un ragazzo che non si preoccupa di cosa ingerisce nonostante gli effetti che possa avere sul suo corpo non mi pare diverso da un depresso che ingerisce litri di vino e magari qualche psicofarmaco per non pensare al dolore... Inconsapevolezza... Data dal non sentirsi più esseri umani? Se uno dei presupposti del "essere umano" è lo stare in società, in un mondo in cui non c'è più predisposizione all'ascolto, in cui si fa fatica a trovare amici, che soluzione abbiamo?
Non so se sia il punto, ma io trovo che il problema sia NON AVERE PERSONE CON CUI CONFRONTARSI, CON CUI PARLARE, PERSONE CHE SAPPIANO FARTI SENTIRE ACCOLTO, NONOSTANTE LE DEVIANZE E I DIFETTI... 
Chissà... Forse è solo uno sfogo, ma grazie di avermi dato lo spunto per esprimere la mia opinione.

V.